LA CONDIZIONE DEI BENI CULTURALI IN SARDEGNA

 

La natura di un bene culturale consiste nel senso di appartenenza al contesto di riferimento.

Un’opera d’arte diviene un bene culturale nell’istante in cui la coscienza che la percepisce si pone la domanda “Che cosè?”, alla quale l’opera, di rimando, risponde con un altro quesito “Chi sei?”.

La condizione di centrale marginalità, nel cuore del mar Mediterraneo, dell’isola di Sardegna, accentua questa dinamica che identifica i beni culturali come oggetto d’interesse.

La Sardegna, attraversata nella sua storia da flussi di genti diverse e da variegate culture, sente da sempre, quale urgenza prioritaria della sua identità, la necessità di esprimere una propria specificità.

Le vicende che hanno coinvolto l’isola nei secoli, sono state travisate da visioni ideologiche attraverso la lettura che di esse è stata data, soprattutto nella moderna storiografia. L’identità dell’isola si è cercata in artefatte ricomposizioni unificanti riferite a presunte omologazioni linguistiche, artistiche, demo-antropologiche e culturali.

La ricchezza propria dei diversi territori sardi consiste invece nella loro policroma molteplicità. La dissonanza d’idiomi, di usi, di costumi e di flussi artistici ha caratterizzato nel passato e, ancora oggi, distingue l’anima autentica di quest’isola.

In tutto questo i beni culturali si pongono come termine ed elemento di dialogo tra le diversità.

In differenti momenti e in altre stagioni, l’architettura, la pittura, la scultura, le arti applicate, la musica, la poesia e la letteratura hanno costituito la nervatura riconoscibile, unificante eppure rispettosa delle diversità tra tutti i sardi.

Accanto alle differenti tipologie di beni culturali, presenti nell’isola, questa specifica vocazione alla costruzione di legami e di ponti tra le genti è stata soprattutto incarnata da quelli di natura ecclesiastica.

I beni culturali ecclesiastici assommano, in questa regione, a un patrimonio quantificabile intorno all’ottanta per cento circa dell’intero complesso. La sua straordinarietà consiste, soprattutto, nell’essere diffuso capillarmente nel territorio, dalle parti più isolate e meno accessibili dell’interno a quelle più popolate e frequentate della costa.

Le chiese di pertinenza sono circa tremila cinquecento appartenenti a un’organizzazione territoriale composta di oltre seicento parrocchie, organizzate nelle dieci diocesi dell’isola.   

Questa presenza, nonostante le sofferenze dovute al calo numerico e all’aumento dell’età media degli ecclesiastici, rimane come un presidio vivo e stabile al servizio delle comunità che, soprattutto nelle zone interne e nei piccoli borghi, soffrono sempre più a causa dello spopolamento e del conseguente smantellamento dei servizi, con un indubbio arretramento delle istituzioni pubbliche. A queste problematiche si sommano le difficoltà conseguenti a un alto tasso d’invecchiamento della popolazione.

Nonostante questi gravi impedimenti, in Sardegna la miriade di luoghi di culto continua a custodire, accanto a straordinarie opere di grandi artisti, migliaia di manufatti, tessuti e arredi, organi a canne e strumenti musicali, quadri e statue che raccontano di committenze illuminate, devozioni popolari, botteghe artigiane e abilità tecniche nutrite da rapporti con l’intero mondo mediterraneo. A questo patrimonio si aggiungono gli archivi e le biblioteche capaci di restituire un’inestimabile quanto inattesa mole di documentazione, per la massima parte inesplorata.

Il senso di tutti questi beni, soprattutto nell’oggi, non è più relegabile alla sola funzione di illustrare e svelare i termini della fede dalla quale attingono la loro primaria ragion d’essere, e per la quale sono stati prodotti e conservati, ma di dare risposte ad altre urgenze e aspettative della sensibilità contemporanea.

L’esigenza di contribuire allo sviluppo economico e culturale di questa terra, segnata da crescenti flussi turistici e da aperture che, soprattutto nei mesi estivi, la vedono al centro d’interessi internazionali, si coniuga con il compito di salvaguardare l’anima e lo spirito di ogni singolo ambiente che compone il mosaico dell’identità sarda.

La Chiesa in Sardegna ha compreso, da alcuni decenni, questa necessità e nell’investire consistenti risorse, provenienti dall’otto per mille, promuove una miriade di opportunità lavorative per dare una risposta fattiva in questi tempi di crisi, preoccupandosi di manutenere e rendere fruibile il complesso patrimonio culturale collettivo di cui è custode.

L’azione delle diocesi sarde, inquadrata, in questi ultimi quattro lustri, nell’ambito di un progetto nazionale, si è articolata in interventi di conoscenza e di conseguente tutela; in questo senso è stata fondamentale l’attivazione di un vasto programma di catalogazione mediante strumenti informatici dell’intera mole dei beni mobili e immobili custoditi nelle parrocchie.

La consapevolezza della consistenza di questo patrimonio faciliterà la conservazione, e soprattutto sarà essenziale nel restituire alla memoria collettiva il senso della storia, in ogni singola comunità di riferimento.

Al complesso dei beni culturali materiali si aggiunge l’immenso valore di quelli di natura immateriale: le feste, le ritualità e i canti. Questo è il tessuto segreto che sostiene la percezione del riconoscimento nelle proprie radici per ogni singolo fedele.

Se il patrimonio culturale di natura ecclesiastica, nel suo complesso, è una risorsa straordinaria riguardo ai valori etici e identitari, di cui si è detto, è anche importante opportunità capace di attivare, in diverse situazioni territoriali, nuove prospettive legate ai processi produttivi più caratterizzanti.

In questi tempi di crisi economica e culturale tutte le comunità ecclesiali, soprattutto quelle che maggiormente ne subiscono gli effetti, sono chiamate ad assumere come impegno prioritario l’utilizzo dei propri beni culturali a supporto di uno sviluppo economico etico ed equo.

Essendo però il cristianesimo e in particolare il cattolicesimo linfa carsica di tutte le manifestazioni culturali dell’identità sarda, sono convocate a quest’impegno anche le componenti rappresentative della società civile e culturale dell’isola.

La Conferenza Episcopale Sarda, interprete di quest’esigenza, dopo un lungo percorso segnato da vari tentativi di dialogo con le amministrazioni locali e la Regione Autonoma della Sardegna, ha voluto mettere in campo alcuni grandi progetti di valorizzazione.

Così è stato con la predisposizione del Programma Operativo Regionale 2000-2012, sostenuto dai fondi dell’Unione Europea; quando si è colta l’occasione per disegnare e realizzare, in un clima di fattivo dialogo tra le istituzioni, un grande progetto di valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici più rappresentativi dell’intero territorio.

Il progetto “CATTEDRALI DI SARDEGNA” ha elaborato e portato a termine, unico tra i cinque a “Regia Regionale”, il restauro e la dotazione di servizi per l’accoglienza turistica presso le ventun cattedrali più importanti dell’isola, creando musei, punti di ristoro, e posti letto, a supporto dell’incalcolabile valore delle opere d’arte rappresentate dalle cattedrali e in esse custodite.

La memoria della buona riuscita di quell’imponente intervento ha indotto le diocesi, rappresentate nella Consulta Regionale Sarda per i Beni Culturali della Chiesa, a proporre, all’interno del nuovo piano di sviluppo regionale 2014-2020, altri nuovi traguardi di alto valore culturale per lo sviluppo turistico ed economico della Sardegna.

Questo tempo è stato proficuo per rinsaldare il dialogo tra la Regione Autonoma della Sardegna e la Conferenza Episcopale Sarda, così da raggiungere il primo importante traguardo del reciproco riconoscimento paritetico. L’intesa siglata in quest’anno 2017 ha istituito tre tavoli tematici che si occuperanno, oltre che di beni ecclesiastici e di edilizia di culto, anche di promozione sociale e di sviluppo, e non ultimo del grande ambito della formazione.

Gli accordi sottoscritti tra le due istituzioni, laica ed ecclesiastica, nel più specifico settore dei beni culturali, hanno aperto a una felice stagione di collaborazione che svincolerà risorse utili a creare nuovi posti di lavoro, mediante l’attivazione, nel prossimo triennio, di cento cantieri di restauro che saranno attuati nel progetto denominato: “SARDEGNA IN CENTO CHIESE”;

I tavoli paritetici, attivati tra la Regione e la Conferenza, hanno aperto un’interlocuzione per sondare la possibilità di poter attivare un altro importante ambito di collaborazione.

L’ipotesi di lavoro è stata chiamata “MILLE FESTE IN UN ISOLA DI SANTI” e ha l’obiettivo di mettere in rete, rendendoli disponibili per l’accoglienza e la fruizione turistica con conseguente promozione dell’agroindustria e dell’artigianato, i luoghi e i tempi segnati dalla vastissima e attiva quantità di feste che nell’isola si celebrano in onore dei Santi.

La chiesa sarda è anche impegnata nella riqualificazione e nell’edificazione di nuovi complessi parrocchiali che, soprattutto nelle periferie dei maggiori centri urbani, sono volti a migliorare socialmente e moralmente le situazioni di degrado che caratterizzano quegli ambienti.

Il dialogo con l’amministrazione regionale prevede di individuare, tra queste opere, dieci interventi, uno in ogni diocesi, che ricondotti dentro il programma “CASA DI DIO CASA PER L’UOMO” potranno rispondere alle esigenze di assistenza e promozione sociale di altrettante comunità alle quali saranno rivolte.

Con notevoli risorse, pari a circa 60 milioni di euro, messe a disposizione dall’otto per mille nel prossimo triennio, la Conferenza Episcopale nel partecipare ai programmi di sviluppo regionale, in modo concreto, favorisce cosi, attraverso il recupero del patrimonio di cui è responsabile, la promozione culturale, sociale e il progresso della Sardegna.

La missione di chi crede nel Figlio di Dio non è, infatti, quella di innalzare edifici di calce e mattoni, ma di mettere al centro della propria attenzione ogni singola persona umana, riconoscendo in essa il Cristo stesso, secondo un percorso che è scandito dai ritmi della vita comune e che si fa azione concreta nella storia.  

La chiesa, pienamente immersa e formata dallo stesso tessuto sociale dell’isola, ha il compito di rendersi interprete di questa missione non a parole ma con i fatti.

Il linguaggio più efficace per pronunciare il nome di Dio è la bellezza, espressa dall’armonia dell’arte, coniugata con la potenza della libertà dell’amore. Si tratta dell’anima e della carne che dà senso e che sostiene ogni ricerca di significato nella vita, aperta all’irrompere della trascendenza.

Per mostrare e rendere fruibile questo messaggio declinato nelle implicanze liturgiche, catechetiche e devozionali, espresse dalle aule liturgiche che quelle opere contengono, in questi ultimi due decenni, in ogni diocesi sarda sono state create una serie d’istituzioni museali, per meglio assolvere la funzione di comunicazione culturale.

L’attenzione per i beni culturali nella chiesa non si ferma al passato ma, soprattutto in seguito agli incoraggiamenti giunti dal Concilio Vaticano II e ai continui richiami dei più illuminati documenti del magistero, si apre alla contemporaneità e al futuro.

A fronte di questo gravoso impegno, al quale è chiamata la chiesa nella sua integrità, non sempre corrisponde, purtroppo, una puntuale formazione, soprattutto dei presbiteri, dei religiosi negli ordini maschili e femminili e degli ecclesiastici in genere.

Si auspica che per il futuro il palinsesto culturale dell’unica realtà formativa ecclesiastica dell’isola, la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, sia arricchito da corsi specifici nei settori dei beni culturali e della loro gestione.

La necessità di esprimere la fede, attraverso nuove opere d’arte per la liturgia, ha portato la Conferenza Episcopale a non dismettere il compito storico di mecenatismo a favore della produzione artistica, divenendo oggi nell’Isola uno tra i committenti più importanti e munifici.

I settori d’interesse sono i più disparati e spaziano: dall’architettura di pregio alle belle arti e a quelle applicate; dalla musica, specialmente quella liturgica, alle più raffinate espressioni del canto e della polifonia.

Il senso di quest’impegno apre alla speranza del futuro, assegnando ai beni culturali di natura ecclesiale il compito di suggerire una risposta inedita alla domanda accennata in incipit: “Chi sei?”, con il proporre all’isola di Sardegna di uscire da una ristretta visione culturale, in oscillazione tra un senso di minorità e di marginalità rispetto al resto del mondo, e un’orgogliosa autoreferenzialità che rifugge dal confronto e dal dialogo con tutto quello che sta oltre.

Il varco da attraversare verso una nuova cultura è il ponte che ogni opera d’arte crea, indicando l’oltre della e nella storia, e se quell’oltre è “l’uomo vivente, gloria di Dio” quell’opera diviene a pieno titolo bene culturale ecclesiale.

 

francesco tamponi presb.